Precedente destinato sicuramente a far discutere quello proveniente dal Tribunale di Catania – Sezione Lavoro che, con ordinanza del gennaio scors,o ha ritenuto pienamente valido ed efficace un licenziamento intimato ad un dipendente tramite il social WhatsApp.
Nelle motivazioni con le quali il Giudice del Lavoro ha rigettato l’impugnativa del licenziamento si legge come il messaggioWhatsapp può essere del tutto assimilato ad un documento informatico in grado di:
– identificare, da un lato, il mittente (datore di lavoro) e, dall’altro lato, il destinatario (lavoratore);
– fornire una prova inconfutabile tanto dell’avvenuto invio e ricezione del messaggio, quanto dell’avvenuta lettura dello stesso: come noto ai più, le “doppie spunte grigie” indicano l’effettiva ricezione del messaggio, le “doppie spunte blu” l’effettiva lettura dello stesso.
-individuare con precisione data ed orario di invio, ricezione e lettura, al pari di qualsiasi altro strumento “ordinario” (raccomandata, PEC, telegramma).
In questi termini il messaggio WhatsApp sarebbe quindi ancora più rilevante in termini di valenza probatoria rispetto alla pec dal momento che quest’ultima garantisce esclusivamente la ricevuta di consegna ma non fornisce alcuna ricevuta di lettura del relativo messaggio come, al contrario, accade per WhatsApp.
Di qui la piena legittimità della sanzione espulsiva comminata e il rigetto della richiesta di reintegra del lavoratore. (© Avv. Dario Avolio)