Il soggetto che, senza giustificato motivo, rifiuta di sottoporsi al test del dna chiesto dalla madre al fine di accertare la paternità può essere con presunzione riconosciuto padre del nascituro.
E’ quanto hanno stabilito i giudici della Suprema Corte, confermando un orientamento consolidato, chiamati a decidere il caso di un uomo che si era rifiutato di sottoporsi al suddetto test per motivi di privacy.
La richiesta era stata fatta dalla madre del piccolo nell’assoluta convinzione che l’uomo in questione fosse il padre del bambino dopo che questi non aveva provveduto al suo riconoscimento come figlio naturale.
Tale rifiuto ingiustificato è stato considerato dal Supremo Collegio come comportamento valutabile ai sensi dell’art. 116 c.p.c. e, di converso, valutato come argomento di prova per suffragare la paternità.
Ciò in quanto, anche nei primi due gradi di giudizio “Il giudice aveva interpretato il rifiuto dell’uomo di sottoporsi all’esame del dna come elemento a sostegno della fondatezza delle ragioni della donna, in presenza, tra l’altro, dei riscontri probatori offerti dalla stessa in ordine alla pregressa intimità con il ricorrente, il quale, invece, aveva negato perfino di conoscerla, venendo smentito dalla documentazione versata in atti dalla donna (tabulati telefonici, contenuto di sms)”. (© Avv. Dario Avolio)